Cappuccini Marche

  • IL CONVENTO DI

    SAN SEVERINO Marche

Centro di esperienza e di formazione francescana

Il Convento del Santissimo Salvatore in Colpersito di San Severino Marche ha alle spalle una lunghissima storia francescana che lo lega addirittura a san Francesco stesso, al punto che, unico caso tra i luoghi francescani delle Marche, viene citato per due volte dalle fonti biografiche più antiche in riferimento a due significativi eventi della vita del Santo: la consegna della pecorella alle donne religiose che abitavano quel luogo e la conversione del Re dei versi (vedi sotto).

Ciò lo rende sotto il profilo storico, il convento francescano più importante di tutta la Regione marchigiana, per cui in tale luogo dal 2019 è iniziato il progetto di un Centro di esperienza e di formazione francescana.

Il convento ad oggi si presenta come un suggestivo luogo francescano, in cui la storia trasuda dalle antiche pietre (la struttura risale al sec. XI) e dal volto vivo del magnifico crocifisso ligneo che domina la chiesa: piccolo nelle dimensioni eppure con diverse strutture recettive e un bel verde intorno, permette di offrire quel clima semplice, sereno e autentico che ha reso famosi i nostri conventi cappuccini.

Due sono gli orientamenti portanti di questo progetto:
fare del convento un luogo un luogo di vita evangelica dal sapore francescano, da vivere e far vivere a quanti saranno accolti in questo luogo di antiche memorie. La preghiera e la dimensione contemplativa, il valore della fraternità e dell’accoglienza, il servizio al popolo e ai poveri in maniera particolare, il rapporto con la bellezza del creato, sono i cardini di questa nuova esperienza.

offrire delle iniziative precise di formazione francescana: incontri, catechesi, ritiri spirituali, giornate di studio e di approfondimento della grande tradizione testuale ed esperienziale del francescanesimo, e, in particolare, della vicenda e degli scritti di Francesco d’Assisi. I destinatari potranno essere tutti coloro che sono desiderosi di conoscere meglio la straordinaria ricchezza e bellezza evangelico-francescana.

Tutti coloro che sono interessati alle proposte del Centro possono contattarci ai recapiti che trovano alla fine della pagina e chi desidera ricevere aggiornamenti ed essere aggiunto alla nostra newsletter può mandare una mail all’indirizzo: colpersito@gmail.com .

Storia del Santuario

Il più antico documento che ricordi la chiesa di San Salvatore è la donazione che Gislerio, figlio di Mario, fa di essa nel 1047 a Pietro, abate di San Michele in Domora. I monaci benedettini, che dimoravano nel monastero rupestre oggi detto “Grotte di S. Eustachio”, godettero diritti su di essa fino al 1230, allorché il pontefice Gregorio IX rese del tutto autonoma la chiesa che ormai apparteneva alle clarisse. Il titolo, San Salvatore, è legato alla venerazione del grande crocifisso ligneo, scolpito verso la fine del secolo XII, che riproduce il volto del Salvatore con gli occhi aperti, secondo la più antica iconografia del Cristo.

Alla fine del XII secolo, si riunirono a Colpersito alcune donne che conducevano vita consacrata, forse delle penitenti collegate all’abbazia di Domora da cui la chiesa dipendeva. Furono esse ad accogliere più volte san Francesco e ad essere affidate dal vescovo di Camerino ai frati minori, prima ancora che fosse giuridicamente approvata la loro Regola. Il 16 giugno 1223, infatti, il vescovo Atto, alla presenza di fra Paolo (quello che consigliò a Francesco di portare la pecorella alle “povere recluse”), firmava il documento con cui le esentava da ogni onere temporale nei suoi confronti e concedeva loro visitatori e correttori tra i frati minori. Questo, conservato nell’archivio capitolare di San Severino, è il primo atto pubblico in cui compare il nome di Francesco, ed è anche il più antico documento che attesti la presenza del movimento francescano femminile nelle Marche.

Dal 1226, durante l’ultimo anno di vita di Francesco, fu nominato “visitatore” proprio frate Pacifico, che qui fu convertito dal Santo di Assisi. Le “damianite” (che vivevano cioè come le sorelle di San Damiano, dove ancora era Chiara), rimasero nel monastero fino al 1457, quando, dopo un lungo periodo di guerre e pestilenze, rimaste in poche si rifugiarono presso gli altri monasteri sorti nel frattempo a San Severino. Per un secolo l’edificio rimase abbandonato, affittato come stalla dai canonici ai caprai di Visso, che guidavano i loro greggi fino ai pascoli settempedani.

Un secolo più tardi nel 1556, la chiesa e il monastero furono di nuovo abitati da alcuni sacerdoti del luogo che vi fondarono la Confraternita del SS. Salvatore e nel 1566, all’indomani del Concilio di Trento, vi costituirono il primo seminario della Diocesi ma l’esperienza non durò a lungo e il 15 aprile 1576, domenica delle Palme, dopo ripetute richieste da parte del Consiglio comunale, i cappuccini presero possesso del luogo piantandovi la croce. Due settimane dopo venne ritrovato sotto il duomo il corpo di San Severino, patrono della città, e questo fu visto come un premio celeste alla città per aver accolto i cappuccini nel proprio territorio. Da allora, in più di quattrocento anni, i cappuccini hanno via via trasformato la chiesa e il convento dalle antiche forme alle attuali, aggiungendo nel XVIII sec. le due cappelle laterali, l’ornato ligneo dell’altare maggiore e il tabernacolo.

Dalle Fonti Francescane

Attraversando una volta la Marca d’Ancona, dopo aver predicato la parola del Signore nella stessa città, e dirigendosi verso Osimo, in compagnia di frate Paolo, che aveva eletto ministro di tutti i frati di quella provincia, incontrò nella campagna un pastore, che pascolava il suo gregge di montoni e di capre. In mezzo al numeroso branco c’era una sola pecorella, che tutta quieta e umile brucava l’erba. Appena la vide, il beato Francesco si fermò e, addoloratosi in cuor suo, disse tra i lamenti al frate che lo accompagnava: «Vedi quella pecorella sola e mite tra i caproni? Il Signore nostro Gesù Cristo, proprio così doveva camminare, mite e umile, circondato dai farisei e i principi dei sacerdoti. Per questo ti prego, figlio mio, per amore di lui, sii anche tu pieno di compassione per questa pecorella; compriamola e portiamola via da queste capre e da questi caproni».

Frate Paolo ammirando la sua pietà, cominciò a sentire commozione anche lui. Ma non possedendo altro che le due ruvide tonache di cui erano vestiti, non sapevano come effettuare l’acquisto; ed ecco sopraggiungere un mercante e offrir loro il prezzo desiderato. Ed essi, ringraziandone Dio, presa con sé la pecorella, proseguendo il viaggio giunsero a Osimo e si presentarono al vescovo della città, che li accolse con grande riverenza. Non seppe però celare la sua sorpresa nel vedersi davanti quella pecorella che l’uomo di Dio si tirava dietro con tanto affetto. Appena tuttavia il servo del Signore gli ebbe raccontato una lunga parabola circa la pecora, il vescovo, tutto compunto davanti alla purezza e semplicità di cuore del servo di Dio, ne ringraziò il Signore. Il giorno dopo, uscito dalla città, Francesco pensava che cosa fare della pecorella e, per suggerimento del frate che l’accompagnava, l’affidò alle cure delle ancelle di Cristo in un chiostro presso San Severino, che l’accolsero con grande gioia come un dono di Dio; ne ebbero amorosa cura per lungo tempo, e poi con la sua lana tesserono una tonaca che mandarono al beato padre Francesco mentre teneva un capitolo alla Porziuncola. Il santo l’accolse con devozione e festosamente si stringeva la tonaca al cuore e la baciava, invitando tutti ad allietarsi con lui.

La pecorella consegnata dal Santo alle religiose che abitavano in quel luogo (Tommaso da Celano, Vita prima 77-78, FF 456).

La conversione del Re dei versi al quale Francesco darà il nome di fra Pacifico. A lui Francesco chiese di andare per il mondo intonando il Cantico di frate sole – non illecito pensare che possa averlo aiutato nel comporne la melodia – e fu mandato con i suoi compagni a cantarlo per città e villaggi. (Tommaso da Celano, Vita seconda 106 e Bonaventura, Leggenda maggiore 4,9, FF 693).

Vi era nella Marca di Ancona un secolare che, dimentico di sé e del tutto all’oscuro di Dio, si era completamente prostituito alla vanità. Era chiamato «il re dei versi», perché era il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva talmente reso famoso, che era stato incoronato dall’imperatore nel modo più sfarzoso. Mentre camminava così avvolto nelle tenebre e si tirava addosso il castigo avvinto nei lacci della vanità, la pietà divina, mossa a compassione, pensò di richiamare il misero, perché non perisse, lui che giaceva prostrato a terra. Per disposizione della Provvidenza divina, si incontrarono, lui e Francesco, presso un certo monastero di povere recluse [San Salvatore in Colpersito, cf. FF 1078-79]. Il padre vi si era recato per far visita alle figlie con i suoi compagni, mentre l’altro era venuto a casa di una sua parente con molti amici. La mano di Dio si posò su di lui, e vide proprio con i suoi occhi corporei Francesco segnato in forma di croce da due spade, messe a traverso, molto splendenti: l’una si stendeva dalla testa ai piedi; l’altra, trasversale, da una mano all’altra, all’altezza del petto. Personalmente non conosceva il beato Francesco; ma dopo un così notevole prodigio, subito lo riconobbe. Pieno di stupore, all’istante cominciò a proporsi una vita migliore, pur rinviandone l’adempimento al futuro. Ma il padre, quando iniziò a predicare davanti a tutti, rivolse contro di lui la spada della parola di Dio. Poi, in disparte, lo ammonì con dolcezza intorno alla vanità e al disprezzo del mondo, e infine lo colpì al cuore minacciandogli il giudizio divino. L’altro, senza frapporre indugi, rispose: «Che bisogno c’è di aggiungere altro? Veniamo ai fatti. Toglimi dagli uomini e rendimi al grande Imperatore!».

Il giorno seguente, il santo lo vestì dell’abito e lo chiamò frate Pacifico, per averlo ricondotto alla pace del Signore. E tanto più numerosi furono quelli che rimasero edificati dalla sua conversione, quanto maggiore era stata la turba dei compagni di vanità. Godendo della compagnia del padre, frate Pacifico cominciò a esperimentare dolcezze che non aveva ancora provate. Infatti poté un’altra volta vedere ciò che rimaneva nascosto agli altri: poco dopo scorse sulla fronte di Francesco un grande segno di Tau che, ornato di cerchietti multicolori, presentava la bellezza del pavone.