Nacque a Sant’Elpidio a Mare, il 25 marzo 1885, a quel tempo un paese rivierasco che si avviava lentamente a diventare un centro calzaturiero di prim’ordine. La famiglia, povera e numerosa, lo educò alle pratiche della vita cristiana: rosario dopo cena; messa alla domenica; catechismo; frequenza ai sacramenti. Pensò anche all’educazione civile iscrivendolo alla scuola che frequentò con notevole successo. Al futuro ci pensò lui stesso chiedendo di entrare tra i cappuccini che, a quel tempo, avevano un bel convento sulla collina di Sant’Elpidio.
Fu ricevuto nel seminario di Cingoli nel 1898, passando, poi, al noviziato di Camerino dove emise la professione religiosa il 2 giugno 1901, appena sedicenne. Seguitò quindi gli studi di filosofia e di teologia con notevoli successi, ma soprattutto impressionando i superiori per la dirittura morale e per spiccate virtù religiose, e i suoi compagni di classe per un’inclinazione particolare al teatro come attore.
Terminato il corso degli studi, fu nominato insegnante e preside delle scuole secondarie di Cingoli e Civitanova, emergendo non solo per competenza, ma anche per chiarezza di metodo, per impegno costante, cui aggiungeva pazienza, serenità e una sottile vena di umorismo, che alleggeriva il peso della scuola agli alunni. Nel 1928 fu mandato a Pesaro, dove restò fino alla morte.
Passata la bufera della prima guerra mondiale, alla quale partecipò dal 1916 alla fine come semplice soldato di sanità e ritornato alla vita di convento tra i suoi studenti, P. Giuseppe si accorse che nuove necessità emergevano e una nuova attività era necessaria per rinsaldare le file dei sacerdoti e dei religiosi e per incrementarne non solo la qualità ma anche il numero, che le vicende degli ultimi decenni avevano notevolmente ridotto. I mezzi li trovò nel Vangelo: preghiera “perché il padrone mandi operai nella sua messe”; devozione all’Eucaristia; direzione spirituale.
Dove non poteva giungere direttamente, giungeva con la corrispondenza e con la stampa. P. Giuseppe fu un instancabile scrittore di lettere con le quali suggeriva elevazioni spirituali; dava consigli; chiariva dubbi con parole appropriate, brevi, chiarificatrici.
Egli sapeva, inoltre, che la vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa e missionaria ha bisogno di essere annunziata e illustrata. Da qui la necessità della stampa. Per oltre quaranta anni diresse il quindicinale “Pace e bene”, che fu, per così dire, l’organo ufficiale dell’Opera delle vocazioni, e un calendario murale cui più tardi annesse anche un foglio mensile di quattro pagine dal titolo “Direzione Spirituale”.
Tutto questo lavoro, che cresceva e si ampliava, lo spinse a impegnare altre persone. Nacque, così, l’idea di un’associazione di anime pienamente dedicate alla vita di perfezione e di apostolato, che potessero attendere, con la preghiera e l’azione, alla promozione vocazionale e ad altre attività collaterali. Per questo fondò così l’Istituto delle Sorelle Francescane delle vocazioni, chiamate poi Volontarie delle vocazioni, presenti nelle Marche, in Puglia e in Brasile. C’è chi ha detto che il Beato Giustino Rossolillo si sia ispirato a lui per fondare l’Istituto dei Padri Vocazionisti.
P. Giuseppe continuò il suo lavoro fino alla fine con uno zelo e un’operosità incredibili, senza concedersi pause o permettersi una evasione, anche la più legittima. Lo attestano le sue opere, le stampe che curò, il contributo che diede alla promozione vocazionale, l’assistenza continua a tante anime bisognose del suo ministero sacerdotale, l’attenzione vigile all’Istituto per l’organizzazione giuridica e la formazione spirituale che faceva capo all’Eucaristia e alla Madonna, scrigni della sua freschezza spirituale.
Negli ultimi tempi, oramai novantenne, non usciva quasi più dalla sua cella, votiva come una chiesa, ove viveva lavorando, leggendo e pregando. A chi gli chiedeva notizie sulla sua salute, rispondeva: “Sto qui e aspetto”. Aspettava il passaggio del suo Gesù, che lo portò con sé il 23 novembre 1974, di sabato pomeriggio, non per malattia, ma per mal di cielo, di cui da troppo tempo soffriva. Il suo ricordo è rimasto in benedizione, proprio in virtù della fama di santità, che lo circondava, per cui il 29 giugno 1995 fu iniziato il processo diocesano per la sua beatificazione e canonizzazione, che, concluso, è stato già inviato al giudizio della Santa Sede.
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