Cappuccini Marche

LA REGOLA BOLLATA

Cappuccini Marche

Come una madre, accanto nei bisogni
Fra Pietro Maranesi

Nella storia dell’Ordine francescano il capitolo VI della Regola è stato molto studiato e dibattuto per i due temi presenti nei primi sei versetti, dedicati alla povertà dei luoghi da abitare e all’elemosina. Si trattava di stabilire una vita senza sicurezze, condividendo la sorte degli ultimi, coloro che non avevano futuro ma solo un presente sempre incerto e dipendente dalla carità degli altri. In questo contesto vi è anche il famoso inno alla povertà intonato da Francesco per incoraggiare i suoi frati ad essere contenti di quella scelta: «Questa è la sublimità di quell’altissima povertà, che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, che vi ha fatti poveri di cose e vi ha innalzati con le virtù» (Rb VI 4).

L’attenzione a questo tema ha fatto però spesso disattendere gli ultimi tre versetti, nei quali Francesco sembra voler stabilire quali dovessero essere le virtù che dovrebbero fiorire nei frati dalla scelta della povertà. La bellezza del testo obbliga alla sua lettura: «E dovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino tra loro familiari l’uno con l’altro. E ciascuno manifesti all’altro con sicurezza le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?» (Rb VI 7-8). La povertà dovrebbe essere vissuta mediante una solidarietà tra i frati, capace di creare tra di loro “familiarità”, cioè “fiducia”, insomma, costruire quello spazio in cui non si ha più paura di mostrare agli altri le proprie fragilità e necessità.

La condizione di povertà abbracciata dai frati deve condurre dunque ad un’importante consapevolezza relazionale: alla cura reciproca, ad un atteggiamento fraterno condensato da Francesco attraverso la figura della madre. Per il Santo di Assisi, la scelta della povertà difatti doveva essere valutata non in base a criteri di ascetismo purificativo e meritorio, ma in base alla delicatezza e all’attenzione che ognuno avrebbe dovuto mettere in atto davanti ai bisogni dell’altro. La povertà rende poveri di cose ma ricchi di cuore, così da trasformare le relazioni difficili in spazi di famiglia, là dove si incontra una madre attenta, che “ama e nutre” con cura e gratuità i suoi fratelli nel bisogno. Solo in questo caso la povertà diventa virtù perché rende la vita più umana.

Leggere e comprendere, dunque, l’inno alla povertà come virtù a se stante, sganciandola dalla metafora della madre, rischia di rendere tale scelta religiosa insensata e inutile. Mentre se è vissuta quale presupposto per uno stile fraterno di attenzione reciproca, essa si trasforma in una grande ricchezza che rallegra il cuore, perché regala relazioni generose e solidali.

Tratto dal mensile di Frate Indovino (supplemento Voce Serafica Assisi) – fasc. 07-2023

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