Con la Professione dei voti perpetui nella famiglia cappuccina fra Stefano Ramaioli, il 16 settembre scorso a Viterbo, ha pronunciato un “sì” definitivo. Gli abbiamo chiesto di condividere qualche perla della sua esperienza.
Intervista di fra Damiano Angelucci
Un ragazzo che al termine delle scuole superiori decide di entrare in convento per sperimentare la consacrazione religiosa nella via tracciata da san Francesco d’Assisi, di questi tempi, potrebbe non suscitare alcuna ammirazione; ma una qualche curiosità sicuramente sì. In molti si stanno interrogando sulle caratteristiche e le problematiche del mondo giovanile. Una volta si parlava di “generazione x”; ora si parla di “generazione z”, e le denominazioni cambiano ovviamente a seconda delle fasce di età, con la sola evidenza che resterà sempre difficile fotografare una fase della vita così in evoluzione e variegata al suo interno. Il giovane che andiamo a incontrare, nato e cresciuto nella Parrocchia “San Francesco” di Pesaro nel lontano (si fa per dire) 1997, è un esempio statisticamente molto raro, quasi in via d’estinzione, che potremmo accostare all’immagine di una sentinella che solitaria veglia nella notte, mentre tutti i suoi compagni dormono, in attesa che arrivino le prime luci dell’alba e di un nuovo giorno. Non stanchiamoci mai di custodire una speranza positiva nei confronti dei nostri giovani che costituiscono per la nostra Chiesa e per la nostra società non solo il futuro ma pure, come ha sottolineato anche papa Francesco, il presente.
Stefano, hai confermato definitivamente la tua consacrazione al Signore e alla Chiesa. Dal 17 settembre ad oggi cosa sta emergendo nel tuo cuore?
Quello che emerge in modo particolare è la percezione di una discesa. Mi spiego: in questo – ormai – mese e mezzo mi ritrovo a pensare spesso quanto quel “sì” permei tutto di me, quanto quel “sì”, lentamente e decisamente, debba diventare sempre più carne in me. Il desiderio, o comunque l’obiettivo che sento vivo, è quello che ciò che ho promesso definitivamente diventi tale, ovvero che tutto diventi testimonianza di quell’Amore che si è donato a me e al quale ho risposto. Io prego perché questo desiderio rimanga sempre vivo e chiedo anche a te che stai leggendo di pregare per me. Poi quello che vien fuori è una grande gioia di questa scelta, di essere arrivato lì dove il cuore desiderava arrivare, ma non certo per fermarsi, quanto per ripartire con ancora più slancio nel seguire le orme del Signore, lì dove Lui vorrà portarmi. Ciò che emerge, ancora, è anche la bellezza di questa chiamata, perché è proprio bello seguire il Signore, per me in questa strada, come per altri nella loro; ma in qualunque caso ne vale la pena, vale la pena lanciarsi e scommettere su Gesù, testimoniando e manifestando che siamo amati da Lui e attraverso di Lui dal Padre che ci ha voluti e mai ci rinnega.
Qual è il passo del vangelo che meglio descrive e sintetizza la tua vocazione e il tuo percorso attuale? Puoi spiegarcene la ragione?
Penso che sia il brano della donna colta in flagrante adulterio al capitolo ottavo del Vangelo di Giovanni (8,1-11). Vi vedo molto il segno del perdono e la liberazione da quel giudice che si porta nel cuore. Questo perdono porta in sé anche la fiducia che il Padre ha nei nostri confronti: nel non condannarci ci lascia liberi di andare, pur essendo consapevole che potremmo cadere di nuovo; ma forse spera che, fatta una volta questa esperienza del perdono, uno non possa più scordarsene. Mentre scrivo mi ritorna in mente data, luogo e ora in cui questo è successo e da lì il cammino ha preso una strada ancora più profonda.
In questi anni hai sicuramente conosciuto la vita di tanti santi: laici, consacrati, cappuccini e non. In quali di questi fratelli, cittadini del paradiso, e in quali tratti della loro vita, hai percepito maggiormente il fascino della vita cristiana?
Il primo che ho incontrato è stato san Francesco, per il semplice motivo che la parrocchia da cui provengo è intitolata a lui. La mia conoscenza è aumentata negli anni e desidero approfondirla sempre di più, ma quello che mi colpì all›inizio, quando iniziai a conoscerlo, fu la gioia che mi trasmetteva il Cantico di frate sole, quel modo in cui riusciva a vedere il Signore attraverso la creazione in un momento della mia vita in cui ben poco gioivo per la vita. Poi incontrai santa Veronica Giuliani, una clarissa cappuccina di fine ‘600, che mi colpì per l’ardore che nutriva verso Gesù, talmente tanto che anche lei ricevette in dono le stimmate e alla fine della sua vita disse che l’Amore si era lasciato trovare. Aveva tanto amore verso Gesù che offriva se stessa e le sue preghiere per coloro che non lo amavano. Un’altra figura, tra quelle principali, è stata Chiara Corbella Petrillo. Quello che mi colpì fu il suo affidamento al Padre, il cammino che fece affidandosi sempre più a Lui, fino a donarsi completamente.
Considerato che sei alla soglia dei 26 anni (e che sei il frate cappuccino più giovane delle Marche), come spieghi il progressivo allontanamento dei tuoi coetanei dalla vita ecclesiale, non volendo escludere con questo che abbiano comunque dei profondi valori spirituali?
La domanda è molto interessante e molto spesso me la sono posta anch’io. Rispondo guardando a me, a quello che da giovane di questo tempo si muove nel cuore, senza voler dare un giudizio e comprendendo che la realtà è molto complessa. Penso che ciò che fa difficoltà sia la coerenza e la mancanza di testimoni: è vero, infatti, che si ricevono molti stimoli dai mass media, dai social, dagli stessi gruppi che si frequentano; ma quanti di questi sono veritieri? Ci si è talmente abituati ad ascoltare e vedere un certo modo di vivere che, quando si vede e ascolta qualcuno che annuncia qualcosa di differente o di opposto, ci si aspetta che lo viva anche, non solo nelle grandi manifestazioni ma in particolare nella quotidianità, nella capacità di accogliere e di ascoltare. Come giovani ci si sente sempre bersaglio dei giudizi dei “grandi”, delle loro aspettative e molto spesso anche da coloro che dovrebbero testimoniare altro. Vorrei dire – come una constatazione e non un giudizio, perché lo Spirito Santo agisce illimitatamente e può sempre cambiare i nostri cuori – che una certa generazione di fedeli è cresciuta con un’idea molto moralistica e dura della fede, ben poco incline ad accogliere le difficoltà che i giovani vivono, forse perché loro stessi non le hanno vissute o non le ritengono tali. È difficile avvicinarsi a qualcuno che ti punta il dito senza neanche aver provato ad accogliere chi gli sta davanti. Mi rendo conto che è difficile, ma a volte è necessario, “perdere tempo”, stare.
Permettimi qualche domanda un po’ più frivola. Qual è il film più bello che tu abbia mai visto?
Per me è stato La vita nascosta di Terrence Malick. Un film con un ritmo lento, dove la storia la si può vivere in tutte le sue emozioni e che ti dà la possibilità di entrarci dentro.
Anno 2053. Come immagini la Chiesa? Cosa immagini e speri per fra Stefano Ramaioli?
Io immagino una Chiesa viva, forse con meno membri, forse meno “rumorosa”, ma più innestata nella vita quotidiana, che la tocca in modo significativo perché ci saranno uomini e donne che si saranno lasciati toccare dalla grazia che stravolge la vita. Per quanto riguarda me, spero di essere stato fedele a questa chiamata, di aver lasciato ogni tanto – almeno – che quella luce che il Signore mi ha donato abbia brillato e che qualche cuore abbia potuto rallegrarsi un po’ di quella fiammella. Non riesco a immaginare che cosa farò, ma una cosa che non vorrei abbandonare è il lavoro manuale, in particolare quello agricolo.