In questa Ammonizione il cammino penitenziale è considerato come la prosecuzione del processo di conversione che trae forza dal ritornare alla scintilla che aveva dato il via all’esperienza cristiana.
di Fra Pietro Maranesi
Un suggerimento offerto da Francesco al servo per aiutarlo ad essere “beato” nella gestione del proprio peccato, riguarda la disponibilità «a mantenersi sempre sotto la verga della correzione» (v. 2). Non credo che sia di poco conto notare il fatto che vivere «sotto la verga della correzione» non sia uno stato imposto al servo ma una sua scelta. Non si tratta dunque di vivere in una forma di disciplina servile, ma libera e liberante. Il servo di Dio non ha bisogno di sorveglianti che «sotto la minaccia della verga» lo obblighino ad una fedeltà assoluta ai suoi compiti; al contrario, secondo la formulazione di Francesco, egli pone a sé stesso questa vigilanza, lasciandosi giudicare da una verga immaginaria, quella che usa Dio per i figli che ama, la verga della paternità che, unica, aiuta il servo di Dio a “correggersi”, cioè a misurarsi in verità per raggiungere la sua libertà. Ed è di questo luogo che parla il v. 3, là dove l’uomo potrà gestire il proprio peccato. Per Francesco il servo si mostra “fedele e prudente”, dunque operoso nella casa del suo Signore, quando «non tarda a pentirsi dei suoi peccati».
Il processo deve mettere in moto non una passività nell’accettare una specie di pena del contrappasso, ma un’attività del singolo chiamato a prendere in mano il proprio processo di conversione, cioè a ricominciare «a fare penitenza» (Test 1), continuando quel cammino che aveva dato il via all’esperienza cristiana di Francesco. Nello stesso tempo tale attività di “penitenza” non ha nessun carattere di tipo autopunitivo, in cui il servo di Dio deve imporre a sé stesso una forma di sofferenza vendicativa per la colpa commessa. Oltre a lasciare in mano al servo di Dio la responsabilità di “penitere”, Francesco propone un metodo assolutamente positivo, atto a ricostruire la vita in sé e negli altri. Due sono i momenti suggeriti dal Santo: il servo di Dio, nella sua disponibilità a “penitere per tutte le sue mancanze”, deve innanzitutto interiormente vivere un processo di «contrizione» e poi esteriormente di «confessione» accompagnato dalla «soddisfazione». In secondo luogo, questo processo di “penitenza” ha la sua verifica e il suo compimento in due scelte esterne che esprimono il desiderio e realizzano già in qualche modo la libertà di agire in modo rinnovato.
Riconoscere con il cuore il proprio peccato (contrizione) significa innanzitutto poterlo “confessare”, cioè chiamarlo per nome ponendolo davanti a sé e davanti agli altri, atto di consegna che permette di affidarlo finalmente a Dio. In tal senso, nella «confessione» il servo di Dio compie un atto di allontanamento dal proprio peccato proprio perché, ponendolo davanti a sé e agli altri, lo consegna a Dio nella certezza di essere accolto e perdonato da colui che è la Verità e la Libertà. Ad esso Francesco fa seguire un ulteriore processo esterno di “penitenza”: confessare il proprio peccato significa anche compiere «la soddisfazione con le opere». La contrizione, oltre a suscitare il bisogno di allontanare il proprio peccato, deve promuovere nel servo di Dio il desiderio di rimettere mano alle relazioni per “ripararle” dai danni commessi dal peccato. Non si tratta di umiliarsi per soffrire e scontare, ma di ricreare la vita, prova sicura che la Vita è tornata ad animare il cuore e ad orientare la mente dando libertà ed efficacia all’azione.