Cappuccini Marche

Missionario è sempre possibile

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Situazioni, fatti, incontri, esperienze vissute forse senza eccessive aspettative, ma che di lì a poco cambiano la vita. Fra Giampiero Cognigni racconta la sua scelta di partire missionario per il Benin, realizzatasi proprio negli ultimi mesi del 2020.
di fra Giampiero Cognigni


Nel 2007 dissi di “sì” ad una richiesta di un nostro frate missionario in Etiopia, con l’idea che quattro settimane sarebbero passate velocemente e che sarebbe stata un’esperienza tra le tante. Ma poi successe ciò che non avevo previsto, e cioè che le persone incontrate, i sorrisi dei bambini, i profumi e i colori di quei posti fecero scoccare una scintilla, come nei colpi di fulmine tra due persone.
Sono passati tredici anni, durante i quali ho coltivato l’idea di partire come missionario e qualche volta ho provato ad esprimere questo mio desiderio, trovandomi, però, sempre di fronte alla stessa risposta che suona più o meno così: “No, c’è bisogno qui!”. Ma i desideri, quando sono veri, rimangono, resistono alle intemperie e il mio, seppur ben nascosto, è rimasto sempre tenacemente in fondo al cuore, fino a quando nel 2019, in occasione dell’incontro con il Ministro provinciale fra Sergio, esso ebbe l’occasione di manifestarsi nuovamente. Con grande mio stupore fra Sergio mi colse impreparato, in quanto la sua risposta non fu la solita: addirittura mi ringraziò, perché lui stesso non sapeva come comunicarmi la sua idea di mandarmi in missione ad aiutare i nostri confratelli beninesi nella formazione dei giovani frati. Ed è così, cari amici, che nasce la mia vocazione missionaria: nella semplicità di proposte, di incontri e di avvenimenti tanto inaspettati quanto gratuiti da parte di Dio, che ha intessuto con me una storia apparentemente contorta ma ben delineata, facendomi capire che è lui a scriverla.


Uno dei momenti più belli che ho vissuto nei giorni precedenti la partenza è stato quello della preparazione della valigia: non c’era solo da mettere qualcosa dentro, ma si è trattato di una vera e propria spoliazione, che mi ha piacevolmente costretto a pensare cosa fosse essenziale per me.
Le ultime due cose che ho messo in valigia sono state due libri: le Fonti francescane, che sono per me la radice della mia vocazione, in cui ritrovo il mio ideale di vita e il mio compagno di viaggio, e un libro-intervista di Gianni Valenti a papa Francesco sull’essere missionari oggi nel mondo, dove il Santo Padre ci ricorda che la missione non è uno sforzo dell’uomo ma un andare là dove lo Spirito ci conduce. Infine, ho messo in valigia il desiderio di condividere con i frati e con il popolo di questa terra lo sguardo che Dio ha avuto e ha tuttora su di me: il suo sguardo di tenerezza.
Dopo la preparazione della valigia c’è stato il saluto con mia madre, vissuto nell’atteggiamento tipico della mia famiglia che, per carattere, è piuttosto riservata: se abbiamo qualcosa che ci fa soffrire, preferiamo nasconderlo per non rattristare l’altro. Il silenzio ha preso il posto delle parole, e gli sguardi hanno trasmesso l’affetto che proviamo ciascuno per l’altro. Mia madre ha visto tante mie partenze e tutte le volte ci siamo salutati non per dirci addio, ma per ritrovarci. Certo, questa volta è un po’ diverso: migliaia di chilometri che ci separano, una terra che lei non conosce affatto, e solo tra due anni, a Dio piacendo, potremo riabbracciarci, ma sarà l’ennesima occasione per dirci quanto ci vogliamo bene.
Questi primi due mesi non brillano per ciò che ho fatto, ma per quello che essi hanno cambiato in me. L’esperienza di imparare una nuova lingua, una nuova cultura e un nuovo stile di vita mi ha fatto tornare bambino e ora io, come ogni bambino, devo affidarmi a qualcuno che mi faccia comprendere l’ambiente in cui mi trovo. Ebbene sì: a quarantasei anni si può tornare bambini e tutto questo è un’avventura stupenda!
Cosa temo e cosa mi aspetto, ora che sono qui? Molti di voi sanno che, venendo in Benin, avrei temuto il caldo e le zanzare; ma nonostante queste si facciano sentire, devo ammettere che non sono più la mia preoccupazione: tutto sommato, piano piano stanno diventando delle compagne di viaggio. La mia aspettativa è di vivere sempre con gioia e con coerenza la mia vocazione, anche nei momenti duri, perché solo così potrò dire e trasmettere la bellezza della vita cristiana e di quella francescano-cappuccina.
Con questo vi saluto e vi chiedo di accompagnarmi sempre nella preghiera come io faccio ogni giorno per ciascuno di voi. Dio vi benedica!

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