Cappuccini Marche

Ero forestiero e mi avete ospitato

Cappuccini Marche
LVIV TRAIN STATION PEOPLE WAITING FOR THE TRAINS TO POLAND STAZIONE TRENI LVIV LEOPOLI PERSONE ASPETTANO I TRENI PER LA POLONIA PROFUGHI


Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti ci pone davanti a una secca alternativa: o nemici o fratelli. I frati cappuccini di Fossombrone testimoniano la loro esperienza di accoglienza di alcuni profughi ucraini.
di fra Fabio Chiodi


Il 24 febbraio 2022 l’esercito russo varca il confine dell’Ucraina. Ognuno di noi ha in mente quelle immagini di persone che scappano, andando come possono verso il confine per sfuggire alle bombe e per trovare un angolo di pace.
Nessuno è rimasto indifferente a ciò che stava accadendo e non sono mancate le richieste per accogliere chi stava scappando dalla propria terra, divenuta ormai uno scenario di morte.
Questo invito ha donato l’opportunità alla nostra fraternità di poter riflettere insieme sulla possibilità di ospitare qualcuno, in quanto il nostro convento di Fossombrone ha degli spazi che sono rimasti poco utilizzati dall’inizio della pandemia da Covid19. “Avere a disposizione delle stanze” – dicevamo – “e non utilizzarle per chi, in questo momento, è in cerca di stabilità, sarebbe ingiusto”. Infatti, avere qualcosa di proprio e non disporlo per chi ne ha bisogno, è una mancanza di fronte alla giustizia. San Basilio, commentando il Vangelo di Luca al capitolo 18, dice in maniera dura: “Chi è il ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno. E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito […]. Il pane che tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali che ammuffiscono a casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sottoterra. Così commetti ingiustizia contro altrettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare”.
Queste parole mostrano un concetto di giustizia che, senza dubbio, invitano ad una riflessione sull’uso che facciamo dei beni che riteniamo siano di nostra proprietà e che hanno guidato anche la scelta di dare la nostra disponibilità ad accogliere alcune persone.
Nel dare tale disponibilità, in realtà, non ci siamo fatti troppe domande sul come avremmo gestito l’accoglienza, su come avremmo trovato il sostentamento per tutti e in quali altre situazioni ci saremmo trovati; sapevamo solo che avevamo dello spazio e che lo avremmo utilizzato per i profughi.


Così è iniziata la nostra avventura: i primi arrivi risalgono al 28 marzo e gli ultimi al 25 aprile. In tutto sono arrivate dodici persone, delle quali sei maggiorenni e sei minorenni (la più piccola di 8 mesi e il più grande di 14 anni). Da allora sono passati molti giorni che si sono rivelati tanto intensi quanto arricchenti. Vorrei di seguito riportare alcune riflessioni che ci sono venute durante questa esperienza dell’accoglienza che, a mio avviso, ci ha permesso di guardare oltre il solo concetto di giustizia.
In primo luogo, ci siamo resi conto che, quando si parla di accoglienza, non si tratta solo di strutture immobili, ma si tratta di “aprire le porte e la vita”. I nostri ospiti non sapevano dove erano e come sarebbe stata la loro vita con noi, ma dall’altra parte non lo sapevamo neanche noi. Posso dire che, dal loro ingresso, la nostra vita è stata quasi totalmente assorbita dalla gestione dell’ospitalità: l’ambientamento degli ospiti, la spesa, gli spostamenti, le questioni burocratiche e sanitarie che si devono affrontare in questi casi, la scuola per i bambini, la cucina, le necessità personali, hanno riempito le nostre giornate e i nostri pensieri, il tutto reso ancora più complesso dalla difficoltà linguistica che si cercava di alleggerire con il traduttore dello smartphone e che il più delle volte risultava poco esatto. Non riuscivamo a far programmi: ogni giornata era una novità perché non sapevi cosa sarebbe successo; era come se avessimo avuto dodici figli da seguire tutti in una volta e che non sapevano come muoversi. Accogliere prende il tempo, la testa, le risorse, le emozioni, il cuore… la vita. Credo non sia possibile pensare a una accoglienza reale che non coinvolga l’esistenza, non bastano gli spazi.
Un’altra riflessione che mi sento di condividere è il fatto che l’accoglienza non ammette preferenze.
Con questo vorrei smontare l’idea poetica di un’accoglienza dove ci si capisce, ci si sente gratificati e dove l’ospite è come vorrei io, e fa quello che mi aspetto.

STAZIONE TRENI LVIV LEOPOLI PERSONE ASPETTANO I TRENI PER LA POLONIA PROFUGHI


La sfida, ma anche la bellezza dell’accoglienza, consiste nell’aprire le braccia a chi viene, così com’è: bello o brutto, simpatico o antipatico, lavoratore o scansafatiche, collaborativo o indisponente e così via. Accogliere vuol dire spesso complicarsi la vita ed entrare in relazione con l’altro che non mi sono scelto e con il quale non è detto che la convivenza andrà sempre bene.
Infine, non per importanza, vorrei mettere in evidenza la provvidenza che noi frati abbiamo sperimentato in questo periodo. Ho riportato più volte che noi abbiamo dato la disponibilità dei locali e della nostra presenza, ma il resto è venuto tutto dalla generosità delle persone che girano attorno al nostro convento. La gente che non ha avuto la possibilità di accogliere ha davvero sostenuto chi l’ha fatto. Abbiamo sentito e sperimentato la vicinanza di tantissime persone che non ci hanno fatto mancare nulla, sia materialmente che umanamente. Sostegni economici, generi alimentari, animazione per i bambini, centri estivi e addirittura un corso di italiano. Persone disponibili per i trasporti, per la spesa e per qualsiasi altra cosa fosse necessaria. Da ogni parte abbiamo sperimentato l’abbraccio del Signore attraverso il cuore delle persone che davvero ci hanno custodito e sostenuto in questa avventura e che alla fine si è allargata al di fuori delle mura del nostro convento.
Tirando le somme, ora che i nostri ospiti sono andati in altre abitazioni, mi viene da dire che questa esperienza, faticosa in tanti frangenti, ci ha aperto gli occhi di fronte a tanta ricchezza che il Signore ci dona attraverso l’altro. Questa accoglienza ci ha fatto assaporare qualcosa che va oltre la giustizia e che non ci produciamo da soli, ma che dona il Signore: l’amore, quello che, come dice papa Francesco nella Fratelli Tutti, tende «verso la comunione universale»; «Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8)». •

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