Come nel film del 2007 Freedom writers, la scrittura diventa ben più di un momento di evasione. Il giovane autore ha saputo cogliere e fotografare l’istantanea di una sequenza della sua vita e farne un romanzo, al contempo autobiografico e creativo.
di Leonardo Selvatici
Se a maggio 2020 mi avessero detto che quella idea malsana, venutami in mente sul terrazzo di camera mia, mi avrebbe portato a una vera e propria pubblicazione, ed ora anche a raccontare la mia storia su una rivista, avrei preso tutti per pazzi.
Da sempre ho questa propensione a voler fare le cose in grande e soprattutto a vedere il positivo all’interno di ciò che di positivo ha ben poco: il Covid e tutte le connesse tragedie ad esempio. Decisi quindi di lanciarmi, di affrontare le mie “paure” legate a come scrivere un libro e banalmente vedere se fossi stato capace di scrivere una storia tale da essere chiamata “romanzo”; mi è sempre stato detto che sono “sintetico, asciutto fino all’essenziale e dritto fino al punto, troppo alcune volte”, e perciò questa sfida era perfetta per il periodo che vivevamo. Quando se non in quel momento? La particolarità di questa esperienza, molto formativa per me stesso soprattutto, sta nel non averne mai parlato con nessuno durante i primi mesi, almeno fino a che non fossi stato sicuro che quello che stavo creando avesse un suo perché e che potesse stare in piedi da solo. Non so se sia stata una scelta egoistica o meno, ma di sicuro mi ha unito tanto ai personaggi; mi ha forgiato molto nello scavarmi dentro per scoprire lati di me, narrativi e non, che non conoscevo ancora. Né i miei genitori, né mio fratello, né i miei amici sapevano nulla; era volutamente un segreto per poter immergermi meglio in questo obiettivo, che man mano si tramutò sempre più nel mio unico pensiero, al fine di rendere al meglio e finire in tempi più brevi possibili.

A dire la verità, nonostante fossi così immerso in questo mio mondo, ero molto vicino alle persone che mi circondavano, li osservavo e li studiavo con occhi diversi per poi riportarli all’interno della storia. Il personaggio principale, Ludovico, ricalca in molte vicende me stesso: a partire dal fatto di avere un fratello, di giocare a basket, fino ad avere un gruppetto molto stretto di cinque amici, proprio come me. Mentre l’altro personaggio principale, Arianna, ricalca a grandi linee amiche o persone che ho incontrato, ma contiene molti più elementi di invenzione, motivo per il quale da un certo punto di vista è stato ben più divertente avere maggiore libertà nello svariare e inventare.
La particolarità di questo libro sta infatti non solo nell’argomento, ma anche nella struttura: due storie che scorrono parallele lungo i primi tre quarti del libro, prima di incrociarsi in un finale leggero e pieno di speranza, tipica di quel periodo appena post-quarantena. E la speranza probabilmente è la risposta, se mi chiedo quale sia stato lo scopo di questa avventura, durata due anni e mezzo tra tutto, prima di vedere il libro pubblicato; una speranza che era difficile avere all’interno del lungo periodo di isolamento, ma che poi credo sia stata fondamentale per non impazzire. Trovare il lato positivo anche durante un periodo nero non è facile, non è da tutti e per tutti, ma si tratta di un ottimo compromesso per uscirne vivi. Scrivere questo libro è stato anche un modo di ricordare in modo positivo il Covid e la sua quarantena, dato che senza di essi mai avrei pensato di scrivere un libro, di sicuro non a sedici anni. Un capitolo in particolare, il numero diciassette, si apre con una riflessione molto autobiografica sul ruolo degli scout nella vita del protagonista e dei valori che ancora, a tre anni di distanza dall’ultima riunione, mi porto dietro. I campi lunghi dieci giorni che volavano, le ore a cercare di montare la tenda sotto la pioggia in modo da avere un riparo per la notte: cose che non ritroverò in nessun’altra avventura, e di certo non con quello sguardo tenero e innocente sulla vita, tutta curiosità e voglia di godersi ogni singolo attimo, che poi sai che non ritornerà.
In conclusione, consiglio la lettura di questo libro non solo alla generazione Z, alla quale è diretto e che legge pochissimo, ma anche ai nostri genitori e a tutti coloro che abbiano superato i trent’anni: conoscere un po’ di più quei matti che entrano ed escono da casa con comportamenti strani non è mai una cattiva idea. Che nasca magari della sana comunicazione e un reciproco mettersi in gioco? •

Luca Selvatici, Sempre uguali ma diversi, edizioni Porto Seguro, 2023