di fra Sergio Lorenzini
In una delle sue opere maggiori, la celebre Salita al Monte Carmelo, composta tra il 1579 e il 1585, il mistico spagnolo san Giovanni della Croce incise su carta una sentenza che chi vuol decidersi a progredire nella vita dello Spirito farebbe bene a tenere a mente: “In questo cammino non andare avanti equivale a tornare indietro e non guadagnare è come perdere”.
Basta l’immagine eloquente di un piano inclinato per comprendere la verità delle parole del santo; chi non continua a salire la santa montagna comincia a scendere nella valle della mediocrità.
La vita non è stasi, è movimento, sempre! Moto che o sale o scende, o va avanti o torna indietro, o progredisce o regredisce, ma che mai si ferma, e quando lo fa ristagna e imputridisce. Non è da avvalorare la frenesia del moto perpetuo, piuttosto l’atteggiamento di chi sa che occorre riguadagnare ogni giorno ciò che si pensa di aver già conquistato una volta, e che bisogna spingersi sempre un millimetro oltre rispetto a dove si era giunti il giorno prima, perché l’illusione di star fermi ci conduce, senza che ce ne diamo conto, inesorabilmente, un passo indietro. Ricominciare è una postura del cuore, di chi sceglie di lottare contro l’anestesia dell’inerzia e di ridare ogni giorno senso e valore a ciò che fa, come se fosse ogni volta la prima volta.
Discorso che diventa tanto più valido quanto più la realtà ci fa scontrare con i limiti e le fragilità che ci appartengono, contro i quali lottiamo di continuo, spesso senza venirne a capo. «Il giusto cade sette volte al giorno e si rialza», avverte il libro dei Proverbi (24,16), come a dire che errare e ricominciare è azione quotidiana. E, nella stessa opera citata sopra, san Giovanni esorta: “Chi non ha cura di riparare anche la più piccola screpolatura del vaso, perderà tutto il liquido in esso contenuto”. La vita è sottoposta a una continua opera di riparazione, un aggiustamento perenne che non è l’eccezione, ma la normalità. La sapienza è tutta qui: comprendere che ciò che pensiamo di dover fare solo di tanto in tanto e in casi particolari, è in realtà il lavorio incessante di ogni giorno e di ogni caso.
Se quanto detto vale per un singolo, esso vale anche e ancor più per una comunità come la Chiesa, la quale, nella sua millenaria saggezza, non a caso ha coniato il famoso assioma Ecclesia sempre reformanda. Gridava il grande teologo francese del Novecento Yves Congar: “Ah! Se si potesse rinnovare il volto umano della Chiesa e fare in modo ch’essa appaia meglio come Chiesa di Cristo!”. Per potere, si può; basta ricordare che ogni vera riforma, prima che essere strutturale e morale, è anzitutto spirituale; parte dall’intimo dell’anima come soffio dello Spirito, rinnova la persona trasfigurando il suo cuore e poi coinvolge il mondo nel processo di rinnovamento. Per questo san Francesco esortava i suoi fratelli: «Facciano attenzione che sopra ogni cosa devono desiderare di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione».