di fra Sergio Lorenzini
Pecco, è vero, ma pecco per non peccare più, per strapparmi questa spina carnale, per non essere trascinato in guai maggiori. Questo il Signore lo sa”.
Il monologo assolutorio è del principe Fabrizio Salina, personaggio principale de Il Gattopardo, mentre sta per bussare alla porta di Mariannina, giovane contadina ben disposta ad accogliere i desideri del principe.
L’elucubrata argomentazione si presta come radiografia delle arguzie partorite per aggirare gli avvertimenti della coscienza.
La prima: “Pecco per non peccare più”. Mi concedo al peccato, ma solo per questa volta. Domani ritroverò nuove forze per resistere. La seconda: pecco “per strapparmi questa spina carnale”. La tentazione si presenta seducente e presto convince della sua irresistibilità, che di lei cioè non ci si può liberare se non assecondandola. Un nostro anziano e sagace frate diceva con una battuta: “è semplice far passare una tentazione… basta soddisfarla!”. E sapendo d’aver detto cosa bislacca ci timbrava sopra un ridente occhiolino. La terza: pecco “per non essere trascinato in guai maggiori”. Calcisticamente si direbbe: salvarsi in calcio d’angolo, vale a dire, concedere un male minore per evitare qualcosa di peggio. La quarta: “Il Signore lo sa”. Far leva sulla propria debolezza per reclamare comprensione dal Signore. La quinta, che segue di alcune righe il testo citato, detta dal principe in riferimento alla moglie che stava per tradire: “Sono un uomo vigoroso ancora; e come fo ad accontentarmi di una donna che, a letto, si fa il segno della croce prima di ogni abbraccio e che, dopo, nei momenti di maggiore emozione non sa dire che: ‘Gesummaria!‘… La vera peccatrice è lei!”. Alias, scaricare sugli altri le proprie colpe: scagionarsi cercando attenuanti, attribuire ad altri la responsabilità dei propri errori.
Molti, ci mostra il principe Salina, sono gli argomenti che ciascuno può cavare dalla mente per giustificare i propri cedimenti. Se nonché così facendo ci si ritrova come colui che, agitandosi per salvarsi dalle sabbie mobili, vi affonda sempre di più. Perciò, in contrasto ai nostri comuni sdoganamenti, stanno le parole nette e senza alibi di Francesco d’Assisi: «Dobbiamo avere in odio i nostri corpi con i loro vizi e peccati, poiché il Signore dice nel Vangelo: Tutte le cose cattive, i vizi e i peccati escono dal cuore» (Lettera ai fedeli); e ancora: «Ci sono molti che, quando peccano o ricevono un torto, spesso incolpano il nemico o il prossimo. Ma non è così, poiché ognuno ha in suo potere il nemico, cioè il corpo, a causa del quale pecca» (Ammonizione X).
Sembra strano, ma c’è un odio da coltivare: l’odio del peccato.
C’è una battaglia da condurre senza sconti: quella contro il male che si annida in noi. Al contrario del principe Salina, noi diciamo: “Non pecco, per non peccare più, non pecco per strapparmi questa spina carnale, non pecco per non essere trascinato in guai maggiori”. E soprattutto: “Non pecco per non privarmi della gioia piena dell’amore”.