A qualche mese di distanza dalla morte del Papa emerito un nostro collaboratore, vaticanista di professione, ci aiuta a tessere un quadro del suo pontificato e delle istanze che lo hanno caratterizzato.
di Paolo Fucili
Dopo quasi otto anni di pontificato, e l’inedita, decennale appendice da “emerito”, il Papa tedesco ci ha lasciato ormai quattro mesi fa. Perciò è tempo – ed è anche opportuno – che la retorica, inevitabile in frangenti simili, faccia posto a pensieri più ragionati, invece dei soliti luoghi comuni rimasticati ovunque, finché la notizia era sulla bocca di tutti.
Che Papa è stato BenedettoA XVI? E perché non ha goduto della stessa cordiale benevolenza di altri? Vero è, come dice il proverbio, che morto un Papa se ne fa un altro, e anzi nel caso in questione un altro c’è già da dieci anni. La domanda però non è oziosa affatto, nell’incerto mare in cui la barca di Pietro sta veleggiando, anzi: porta con sé riflessioni essenziali, a parere modesto, tuttavia sincero, del sottoscritto.
Ad ispirarmela, in veste anche di cronista di fatti vaticani, è l’elementare osservazione che c’è un lessico prettamente “ratzingeriano” che oggi la Chiesa, volente o nolente, non maneggia più: “verità”, “relativismo” e “ragione”, anzitutto, oltre a “gioia”, “bellezza”, “libertà”, e via dicendo. Ogni stagione ecclesiale, si dirà, ha le sue sensibilità più spiccate di altre, e parla i relativi linguaggi. Fatto salvo comunque il pur legittimo pluralismo tra il popolo di Dio, la questione in gioco tocca però i presupposti stessi della fede cristiana nel disincantato mondo di oggi.

Dovessi allora rispondere io, definirei Benedetto XVI, in estrema sintesi, il Papa che con più passione si è sforzato di dare a tutti ragioni di credere a una verità, anziché in tante verità o nessuna. Del resto, “cooperatore della verità”, si definiva già nello stemma papale. E va da sé che per il cristiano la verità sia Gesù, che è anche via e vita, insegna il Vangelo. Ma la crisi di fede cristiana del mondo europeo, forse già ex cristiano, oggi è ancor più radicale; e nessun altro l’ha diagnosticata con altrettanta lucidità. “Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni”, sono famose parole sue poco prima di essere eletto pontefice; e invece, aggiungeva, è l’amicizia con Cristo “che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità”.
Che sia questa la ragione di fondo dell’indifferente freddezza con cui ormai tanta gente guarda la Chiesa? Chi si confronta ogni giorno, e sono tanti, con quel disilluso sguardo, può rispondere molto meglio di me; certo è che spesso, di questi tempi, la barca di Pietro sembra navigare a vista, tra un rassicurante passato che però non tornerà più, e un oscuro futuro dai tratti non certo rosei.

Che intanto poi, dalla rinuncia di papa Ratzinger in avanti, siano cambiate e di tanto le sensibilità ecclesiali, è fuor di dubbio. Le parole d’ordine di oggi sono piuttosto “Chiesa aperta”, “in uscita”, “sinodale”. Tutto lodevole, purché la Chiesa non rinunci ad annunciar come vera la buona notizia di cui è portatrice. Il che implica che a fronte del vero c’è anche un falso, che non è un “diversamente vero” o il vero di qualcun altro.
Il relativismo svilisce anzitutto l’idea stessa di verità, ed è ovvio che osteggi i cooperatori di essa, chi crede cioè come Ratzinger – e questo è il suo lascito più prezioso – che la verità esiste e non deve lasciarci indifferenti, e chi non la cerca rinuncia a una vita degna dell’uomo. Per tutto il resto invece il relativismo sa essere pure molto tollerante, persino verso qualche residua forma ed espressione di religiosità, purché sia innocua, non contesti cioè l’assioma che la verità non esiste, o tutt’al più ognuno ha la sua.
Concludendo, perché lo spazio è tiranno, e ripensando a quel grande Papa, più che una Chiesa presunta chiusa – qual è l’accusa che spesso le viene mossa – mi preoccupa una Chiesa appiattita sul mondo, una Chiesa che non vibra più per il vero, né si industria a presentare come tale “cosa” e soprattutto “chi” annunciare. Altrimenti potrà anche spalancare le sue porte, ma per varcarle e trovare cosa di bello, buono, originale, attraente, che già non si trovi altrove? E un cristianesimo senza pretesa di esser vero a chi e a cosa serve davvero? •
